Zebre che si riconoscono

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Zebra è il termine che Jeanne Siaud-Facchin ha

scelto per sgomberare il campo da rappresentazioni scomode; un animale più unico che raro, il solo equino che l’uomo non sia in grado di addomesticare, che nella savana si distingue nettamente grazie alle strisce che sfrutta per mimetizzarsi, che per vivere ha bisogno degli altri e si prende cura dei piccoli in modo particolare, che è al tempo stesso uguale e diverso. E poi, come le nostre impronte digitali, le strisce delle zebre sono uniche e permettono a questi animali di riconoscersi tra loro. Ogni zebra è diversa.

Troppo intelligenti per essere felici è un libro che ha riscontri diversi: c’è chi dice di averlo divorato e adorato, c’è chi ne evidenzia particolari limiti.

È il primo libro che ho letto sull’alto potenziale cognitivo (APC) e, forse proprio per questo, mi è rimasto nel cuore. Mi è piaciuta la definizione di “zebra”, per l’immagine che restituisce: un animale che vive con altri, sfrutta il manto per mimetizzarsi, non è addomesticabile e ogni zebra è diversa dall’altra.

Gli APC hanno caratteristiche comuni, che permettono di individuarli, ma hanno anche un ampio spettro di peculiarità. Molti esperti ritengono che sia molto raro trovare un “APC puro” e che molti APC abbiano profili non omogenei, dovuti spesso ad altre neurodiversità (DSA, autismo lieve, ADHD, ecc.).
La combinazione di più elementi insieme rende le persone neurodiverse uniche (ancora più uniche, forse).

Molte zebre hanno anche imparato a mimetizzarsi bene, attraverso il mascheramento. Questo può accadere perché si sa di essere diversi dagli altri e si cerca di “imitarli” per sentirsi parte del loro mondo. Una persona neurodiversa comprende di essere differente, tanto che si sostiene che una importante caratteristica sia la consapevolezza rispetto a se stessi e il riconoscimento della propria diversità.

Ma le nostre zebre speciali sono anche emotive, inquiete, ribelli, solitarie, dimenticate…

Siaud-Facchin ha iniziato a individuare gli aspetti della neurodiversità in persone adulte che iniziavano un percorso di psicoterapia. Proprio durante le sedute venivano individuate le caratteristiche dell’alto potenziale cognitivo e queste diventavano la chiave per una nuova rilettura della vita del paziente. 

Riconoscersi come zebre è un po’ come togliersi degli occhiali che distorcono il mondo attorno. Non si vede con i propri occhi ma con quelli degli altri e tutto è distorto e (molto) insensato.

Guardare con il proprio sguardo neurodiverso permette di risignificare la vita, darle il senso che ci appartiene e, finalmente, riconoscere altre zebre.

Giada Ales ed io abbiamo parlato proprio di questo in una delle nostre Conversazioni neurodivergenti

Ci siamo anche confrontate sul libro Troppo intelligenti per essere felici. 

 

 

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